Menu principale:
L’otto settembre 1905, alle ore 1.43, un violento terremoto colpì Calabria e Sicilia. Molte furono le vittime ed ingentissimi i danni (1).
Il sisma interessò, in particolar modo, la fascia centrale del versante tirrenico della Calabria. Olivadi, pur non vicinissimo all’epicentro, fu duramente colpito: sei i morti (2) , circa trenta i feriti, solo undici o dodici le case non danneggiate.
La notizia ebbe vasta eco sulla stampa nazionale e suscitò notevole scalpore in tutto il Paese. In particolare il giornale “La Tribuna” di Roma si fece promotore di una sottoscrizione a favore delle zone terremotate e fece pervenire al Comune di Olivadi la somma di lire duemila (“La Tribuna”, 16.10.1905) (3) .
Il sindaco dell’epoca, Signor Raimondo Corapi, all’indomani dell’accaduto così si espresse: “Il violento, terribile terremoto della notte dell’8 settembre ha distrutto questo paese, gettando nel lutto e nella più squallida miseria l’intera popolazione, che, esterrefatta, quasi pazza di dolore, angosciosamente delira nelle macerie invocando pronti soccorsi. Lo spettacolo che presenta il disastro è indescrivibile. Tutto quanto formava la sussistenza della popolazione è distrutto, è sotto le macerie palpitanti di vittime e perciò è d’uopo porre qualche rimedio alla jattura, all’immane disastro, che rase al suolo un paese ridente, felice” (4) .
La testimonianza del Sindaco Corapi ed i dati relativi al sisma aiutano a capire quale fosse la situazione di Olivadi e degli Olivadesi all’inizio dell’inverno del 1905.
Un paese duramente colpito, nelle cose e nello spirito, in cui il terremoto (l’ennesimo) era giunto ad aggravare, ed in modo estremo, condizioni già difficili. Le condizioni difficili proprie di un paesino del Sud agli inizi del ‘900. Con un’economia di sussistenza, basata sull’agricoltura e l’allevamento, piccole attività artigianali e quasi nessuna attività commerciale.
Agli inizi del secolo Olivadi manteneva ancora un assetto semi-
Il quadro che da tali considerazioni discende ci dice, e non per far posa di facile vittimismo o per abuso di schemi storiografici precostituiti, che Olivadi si affacciò al nuovo secolo gravato da uno svantaggio pesante, certamente non compensato dal fenomeno dell’emigrazione.
Dato che emerge anche dall’esame dei pochi documenti diretti disponibili. Gli atti del Consiglio Comunale costituiscono sotto questo aspetto una testimonianza utilissima, del cui contributo è possibile giovarsi, specie alla luce della breve considerazione che segue. Per la loro natura non sono stati concepiti per “fare storia”, né redatti con l’intento di “tramandare”. Essi sono la registrazione puntuale dei lavori di un’assemblea (e per le condizioni dell’epoca si può ritenere che si trattasse della più vivace del paese) e come tali offrono uno spaccato diretto e spontaneo della vita della comunità di cui quell’assemblea era rappresentante.
Le difficoltà strutturali ed i disagi a cui si è fatto cenno sono sì la cornice entro cui si svolge la vita di Olivadi, ma per completare il quadro occorre aggiungere che la comunità olivadese appare vivace, attiva, operosa. Non priva (sia pure soltanto in qualcuno dei suoi esponenti) di fermento culturale e di istanze politiche autonome ed autentiche, magari in contrasto con l’opinione dominante, supinamente filo-
Un dato colpisce: leggendo in controluce i documenti si ha la sensazione netta che gli Olivadesi del primo ‘900 possedessero una identità culturale ben definita ed un forte senso di appartenenza alla comunità: il singolo si percepisce parte di una collettività a cui si sente indissolubilmente legato e da cui il suo orizzonte civile e culturale trae forma. Ed il dato appare sorprendente (almeno per chi ha vissuto solo gli ultimi decenni della vita di Olivadi) poiché tali caratteri negli anni sembrano essersi indeboliti, fino quasi a scomparire ai nostri giorni. I fattori che hanno determinato questo “impoverimento” sono molteplici e tentarne un’analisi è compito che supera gli ambiti propri di questo scritto.
Per tornare al fatto: gli inverni del 1905 e del 1906 per Olivadi furono durissimi. Nelle settimane successive al sisma il Genio Civile fece costruire circa quaranta baracche per dare ricovero alla popolazione e provvide alla riparazione di venti abitazioni. Il giornale “Vita Calabrese” denuncia in queste operazioni “sistemi di sperpero e di sciupio di denari e materiali” (5) .
Del 2 novembre 1906 è una “Istanza per la sollecita ricostruzione e riparazione delle case danneggiate dal terremoto” da parte del Consiglio Comunale (e sono passati già circa 14 mesi dalla catastrofe…), che evidenzia la gravità delle condizioni in cui è costretta la popolazione olivadese nell'approssimarsi dell’inverno. La gente in massima parte vive in baracche mal equipaggiate e si segnalano “vari casi di polmonite e di altre simili malattie” (6). Nello stesso documento si dà notizia di una richiesta, inoltrata il 7.9.1906, al Ministro dell’Interno al fine di ottenere l’inclusione di Olivadi nell’elenco dei 15 comuni da ricostruire a spese dello Stato. La costruzione delle nuove case avrebbe dovuto eseguirsi lungo “la strada comunale Duca degli Abruzzi, terreno di migliore affidamento, senza spostare il paese. Così si attraverserebbe la via che si svolge lungo le proprietà comunali, e che collega con parecchi centri commerciali; via che può dirsi una vera arteria per gl’interessi economici di tutti gli abitanti, a prescindere dal fatto di avere, molto prossima a detta località, un’abbondante sorgente d’acqua” (7).
Il 30.10.1906 il Ministero fa comunicare dalla Prefettura che l’istanza sarebbe stata sottoposta “via breve” alla Commissione Reale. Evidentemente la cosa non ebbe seguito, poiché una “Nuova istanza per la sollecita ricostruzione e riparazione delle case danneggiate dal terremoto” si rese necessaria il 16.2.1907 a causa del ritardo della risposta dello Stato.
Il 2.2.1907 Olivadi era stato visitato da una “Commissione d’inchiesta sulla Calabria” rimasta “…oltremodo spiacente nel constatare che qui, tranne poche-
In questa precisazione appare evidente il timore da parte dell’Amministrazione che il paese dovesse essere spostato. La preoccupazione che ciò potesse avvenire indusse gli Amministratori a dare contenuti più precisi alla quantificazione ed alla natura dei danni, dal momento che essi ritenevano sufficiente la ricostruzione in loco delle case distrutte o danneggiate (o almeno della maggior parte di esse).
La Commissione d’Inchiesta prese impegno di farsi portatrice presso il Governo dei voti della popolazione.
Ed intanto i mesi passavano…
Nel marzo del 1908, nonostante le richieste degli Olivadesi e le promesse dei Governanti e del Re, la situazione era immutata. Lo conferma l’ennesima “Istanza a S.M. il Re per costruzione e riparazione fabbricati distrutti e danneggiati dal terremoto” del 7 marzo, in cui, tra l’altro, si legge: “ (…) Ciò stante ancora questi fervidi voti non sono stati esauditi, e quindi la popolazione, esasperata, afflitta, parte geme nelle immonde e malsane baracche, parte è dolorante nelle case danneggiate! Quel che conforta è la nobile promessa dell’Augusto Sovrano; e noi, con animo sereno, aspettiamo i benefici risultati. Per tanto propongo (è il Sindaco che parla) che si rivolga devota istanza alla Sacra Maestà del Re, perché si degni dare i relativi ordini a pro di Olivadi” (10) .
Una breve annotazione: dal giorno del terremoto erano intanto trascorsi due anni e mezzo e, benché agli Olivadesi sembrerebbe non far difetto la pazienza, è ragionevole ritenere che un’attesa così logorante non potesse rimanere senza effetti.
Ed infatti la primavera del 1908 fu, purtroppo, assai ricca di eventi: nel dar conto dei quali sarà utilissima la testimonianza del Consigliere comunale Arcangelo De Septis, figura che ebbe un ruolo decisivo nelle vicende di quei mesi.
Il 21 maggio 1908 in una drammatica seduta del Consiglio Comunale il De Septis così si espresse: “(…) No, Olivadi si trova nelle medesime condizioni, dopo il triste avvenimento de tre anni or sono. L’Amministrazione Comunale ha cercato sempre di richiamare l’avviso del Governo sui bisogni delle nostre contrade distrutte, ed in quest’ufficio comunale vi è una voluminosa pratica, che però testimonia l’energia minuziosa e stringente nel presentare all’Autorità Superiore un vero quadro straziante, onde questa potesse prenderne una seria e concreta considerazione. Ma, disgraziatamente, il gemito olivadese non venne udito dal Governo, il lamento dei nostri cittadini fu così sottile e velato, fu così tenue e sommesso che non arrivò alle orecchie del Ministero… ed Olivadi restò abbandonato, mentre altri paesi della zona del monteleonese (11) furono completamente riedificati. Finalmente questo lamento, questo gemito divennero preghiera, dolce come un’aura, (…) figuratevi il volo di una farfalla! (…) Ah sì, questa bianca farfalla si è posata ai piedi del più grande uomo della Nostra Italia, ai piedi augusti del Re! E il Re promise, promise di interessarsi, quindi ha fatto tutto quello che poteva fare un Sovrano Costituzionale, i cui poteri sono abbastanza limitati. Sì, Signori, il Re promise interessarsi, ma è il Suo Governo che ne deve assumere la responsabilità. Ed il Governo tace, perché avaro, perché non crede doversi occupare d’un microscopico paesello, che, dopo tutto, sopporta le pene senza lagnarsi energicamente. Sua Maestà ha fatto il compito suo: si è rivolto al suo capogabinetto responsabile, oggi nella persona dell’On. Giolitti. E costui ci ha fatto sapere, a mezzo del Sig. Prefetto, che tranne lievi riparazione e pochissimi proprietari (10 o 12), gli altri danneggiati, che raggiungono la cifra di oltre 150, debbono avvalersi dei mutui di favore. In altri termini, il bilancio dello Stato è esaurito per Olivadi, e quantunque il Governo medesimo (…) avea date ampie promesse, oggi non le ha più mantenute e così ha gettato la popolazione nel più grande sconforto, nella più grande esasperazione. Sicché ogni speranza per il nostro paesello è finita, e non solo per Olivadi, ma per la Calabria, tenuta sempre di poco conto, quantunque il sangue calabrese fu versato copiosamente per il Riscatto Nazionale! (…) Voi lo vedete, o Signori del Consiglio, lo vedete il triste spettacolo dell’indolenza governativa pel nostro paesello?? La nostra indignazione è giunta al colmo. (…) Talvolta mi avvicino alle immonde baracche, messe in fila, sulla strada Provinciale e quelle donne (…) mi chiamano e mi dicono sospirando: -
Così l’accorato ed energico intervento del De Septis.
Il Consiglio Comunale (13) del 21.5.1908 si concluse con la decisione, su proposta del consigliere Tommaso Mellace, di differire le richieste del De Septis per darsi il tempo di operare un ultimo tentativo al fine di “smuovere l’inerzia governativa”. Il consigliere Mellace propose infatti una visita da parte dell’intero Consiglio Comunale al Prefetto allo scopo di informarlo degli ultimi sviluppi della vicenda ( e dei malumori relativi) e declinare qualsiasi responsabilità per “le funeste conseguenze che ne potrebbero derivare” qualora quest’ultimo appello fosse rimasto inascoltato. Il De Septis stesso si rimise al parere del Mellace, pur dichiarandosi scettico circa gli esiti di questo estremo tentativo. Inoltre, su invito del consigliere Politi, fu inviato al Re l’ennesimo telegramma di sollecito (14).
Ma, come si può facilmente immaginare, il clima si faceva sempre più teso, tanto più che la visita della delegazione del Consiglio Comunale al Prefetto non produsse, come il De Septis pur temeva, esito alcuno.