PINO LAVECCHIA - Associazione Culturale Olivadese

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PINO LAVECCHIA

Mostra di pittura

Venerdì 31 agosto, Sabato e Domenica 1 e 2 Settembre 2007
Dalle ore 17.00 alle 22.00


Si è tenuta dal 31 agosto al 2 settembre 2007, presso la Chiesetta dell’Addolorata di Olivadi, la suggestiva personale del pittore Pino Lavecchia, penultimo appuntamento della fortunata rassegna “in mostra”, autentico fiore all’occhiello della pur intensa estate dell’Associazione Culturale Olivadese (che ha avuto come protagonisti, fra gli altri, Richard Galliano e Gigi Cifarelli).
Catanzarese, formatosi all’Accademia di Belle Arti di Firenze, Lavecchia ha fatto parte nei primi anni ’70 del ‘Gruppo Mathausen’, ha al suo attivo un ricco numero di esposizioni sia in Italia (Catanzaro, Firenze, Forlì, Parma, Roma, Trieste) che all’estero (Parigi, Antibes, Nizza) ed è stato protagonista di numerose performance di “Suono-immagine”, a metà strada fra pittura e musica.
Le sue opere, orientate dalle due grandi polarità della Metafisica e del Surrealismo, appaiono ricche di una visionarietà feconda, capace di estrapolare gli oggetti dai loro contesti più abituali per proiettarle in una dimensione onirica di assoluta attrazione. Nei suoi oli la precisione del segno si accompagna ad una spaesante congiunzione fra realtà e illusione, tangibilità ed evanescenza, che lo collocano all’interno di un’arte dal forte impianto concettuale. Il quale, però, non appesantisce mai i suoi quadri ma ne rappresenta, anzi, il cuore pulsante di ogni ammirato approccio dell’osservatore. Ponendosi dinanzi alle opere esposte, se ne ricava, infatti, un irrazionale rapimento verso una dimensione del pensiero che, come giustamente scrive il curatore Gianni Casalinuovo, «può essere travalicato con la semplice fantasia della creatività». Anche le opere cosiddette ‘still life’, caratterizzate da una notevole fedeltà rappresentativa presentano, a ben guardarle, una densa componente metafisica. «Quello che cerco» - ha dichiarato l’artista - «è in primo luogo l’esattezza formale, base di partenza di ogni mio quadro. Ma nel contempo il mio proposito è di confondere l’osservatore, di creare in lui il tarlo del dubbio, dell’incertezza, anche e soprattutto dimensionale, di indurlo insomma a riflettere in modo inventivo. Quanto più riesco a generare scompiglio, tanto più la mia espressione pittorica assume il compito di una provocazione che introduce ad un livello ulteriore di comprensione delle cose. Alcuni degli oggetti che rappresento sono compagni della mia quotidianità, essi s’impongono casualmente alla mia attenzione ‘chiedendomi’ di essere riprodotti. Io non faccio altro che ritrarli aggiungendovi quel surplus di ‘vita’ che contengono (si veda ad esempio l’opera ‘Anfora’); ciò che ne scaturisce è semplicemente frutto di questo speciale rapporto». Prendiamo la straordinaria ‘Foglia’, in cui l’organo della pianta, appesa per un filo su uno sfondo buio, trasmette in un attimo l’impressione misteriosa e malinconica della precarietà autunnale. Il tutto, con un’apparente elementarità che è invece frutto di una profonda elaborazione e dove l’asetticità e la freddezza degli spazi vengono compensate dall’intensità dei significati. Quasi nulla in Lavecchia è fine a se stesso, ogni elemento ha la sua ragione nella mente dell’artista che gioca ad avvicinare quanto più diverso e apparentemente assurdo, quasi a voler suggerire, come ha scritto Bruno Chiarini, «nuove problematiche filosofiche e filologiche per il futuro della società umana».
La minuziosa precisione degli oggetti e delle figure che troviamo ne ‘La coppia’ o ne ‘Il ponte tra le nuvole’, e che per certi versi rimandano alla classicità, si sostanzia di una razionalità futuristica che, del resto, è l’elemento decisivo di un’opera di grande valore quale ‘L’isola del poeta’. Ispirata a Corrado Alvaro e alla sua martoriata terra natale di San Luca (mai come in questi giorni al centro delle cronache), essa trasmette un messaggio di assoluta speranza oltre che di rivendicazione di un passato glorioso spingendosi, lontano però dalla facile e banale retorica, sino alla “Magna Graecia”. La foresta in cui Lavecchia  colloca il grande scrittore è contenuta in una conchiglia da cui s’irradia, verso un incantato fiume purificato e purificante, la luce del sapere e della civiltà rappresentati sulla riva da simboli antichi. Anche i colori, rimandanti all’aridità e all’asprezza dei paesaggi cosmici (quasi una costante in questo tipo di quadri dell’artista), contribuiscono a fissare un’atmosfera di quieta ma potente ribellione ad un destino di barbarie del tutto inaccettabile. L’ermetismo di Lavecchia si fa a volte inquietante come in ‘Un amore impossibile’, dove la testa della donna amata, dal corpo sinuoso e seducente, viene sostituita da un’arida porzione di terra sopra cui si muove, agile e ripugnante, una lucertola. Altre volte, invece, l’irrealtà assume i tratti di un trasognante erotismo come in ‘Sogno metafisico’, dove oggetti veri e immaginari si fondono con la sensualità carica di desiderio della figura femminile, sospesa su un’amaca e avvolta da veli trasparenti, che si staglia dentro un enigmatico paesaggio lunare.
Un artista dalle molteplici implicazioni e di spiccata originalità, insomma, quello che questa nuova mostra olivadese ha permesso di mettere in luce grazie alla dedizione di Gianni Casalinuovo e dei suoi attivissimi collaboratori.

Galleria Fotografica
 
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