5. Conclusioni - Associazione Culturale Olivadese

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5. Conclusioni

Questa vicenda ha segnato profondamente la vita del nostro paese.
Fu determinata da una serie tragica di concomitanze: le letture fatte da alcuni organi di stampa (“Il Potere”, “Il Giornale d’Italia” (49) ) e, sul versante opposto, in un secondo momento, dallo storico Vittorio Cappelli (50), non paiono trovare conferma nei fatti. Volerla leggere come un momento, fra i tanti, del conflitto di classe fra ceto dominante e popolo o di contrapposizione fra Stato e Società civile appare una forzatura concettuale.
Né sganciarla da logiche storiografiche più generali significa attenuarne gravità e drammaticità.
Una dialettica ricchi/poveri o popolo/Stato deresponsabilizzerebbe i protagonisti (negativi e positivi).  
A noi sembra più corretto leggerlo come un atto di “banale” quanto grave follia; altre logiche non sembrano trovare posto.
Sul rapporto fra Stato/società civile occorre fare una precisazione.
Che il Meridione ed in particolare le zone rurali percepissero lo Stato come distante è un dato pacifico, che non aveva bisogno di conferme o controprove. Ed in tal senso i fatti di Olivadi non aggiungono nulla. Si può senz’altro escludere per gli episodi olivadesi una volontà antistatale precostituita e cosciente o ostile alle Istituzioni. Fenomeni di tal genere non trovano riscontro.
Discorso a parte merita invece il processo.
In quella fase, nella contrapposizione Autorità-Carabinieri/popolo, chi ne aveva il potere non ha esitato a servirsene per favorire l’Autorità. Non si sa se per scelta politica o per mancanza di coraggio, ma non vi è dubbio che nella fase processuale la ricostruzione puntuale dei fatti ed il legittimo desiderio degli Olivadesi che fosse fatta giustizia, hanno dovuto lasciare spazio ad una versione che salvasse l’operato delle Forze dell’Ordine e chiudesse la vicenda in modo non disonorevole per lo Stato o per i rappresentati di esso (!). E ciò, prima ancora che a danno degli Olivadesi (per i quali peraltro immaginare la possibilità di danni ulteriori in quei momenti è francamente difficile), senza dubbio a scapito di una esatta e giusta ricostruzione storico-processuale.
Gli Olivadesi che manifestarono quella domenica erano senz’altro stanchi, delusi, esasperati, anche arrabbiati, ma i fatti escludono in modo categorico che le Forze dell’Ordine si siano trovate dinanzi un manipolo di rivoltosi organizzati e pericolosi per la sicurezza di alcunché. Si trattava di una popolazione provata da anni di stenti, abbandonata a se stessa da uno Stato (anche nei suoi rappresentati periferici) distratto e assente, povera gente che per una volta ha levato la sua protesta in modo un po’ più forte, ricevendo in cambio qualche decina di colpi d’arma da fuoco.
Forse, anche qui grazie ad alcune concomitanze (nel nostro caso favorevoli), abbiamo colto l’ultima occasione per strappare questa vicenda al definitivo oblio a cui sembrava condannata.
La vogliamo proporre perché dell’ “eccidio” e di un momento così difficile della vita di Olivadi si serbi memoria.

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