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Il processo fu celebrato a Monteleone nell’ottobre del 1909 (27).
Il 4 ottobre comparirono davanti alla Corte d’Assise di Monteleone il brigadiere Pompeo Monsacrati ed i carabinieri Cinquepalmi, Franchini, Lamonica e Mazzei con le accuse di omicidio, mancato omicidio e lesioni di persona; undici olivadesi (Maria Monteleone, Generoso Napoli, Florestano Comito, Gregorio Schipano, Antonio Paparazzo, Gaetano Corigliano, Salvatore Gallo, Attilio Singlitico, Ercole De Septis, Domenico Muratori e Domenico Spadea) accusati di resistenza all’Arma (28).
La fase in Corte d’Assise fu preceduta da una sentenza della sezione di accusa del Tribunale di Catanzaro (29).
Il collegio di difesa dei Carabinieri era composto dagli avvocati Cafasi, Jemma, Trani, Pizzirri, Castagna e Bucarelli.
“Anche i derelitti di Olivadi dovevano essere difesi da avvocati rivestiti di cariche pubbliche, ma pare che dopo una volontaria, misteriosa ed inspiegabile eliminazione di questi signori – i quali si erano impegnati a sostenere l’accusa contro i carabinieri ed avevano firmato i difensivi – sia rimasto il solo avv. Nicola Gioja, unico senza cariche ufficiali” (30).
All’avv. Gioja si unirono poi gli avvocati Spasari e Ciampà.
Resta da aggiungere qualche elemento sulle condizioni ambientali in cui si svolse il processo.
Monteleone, nei giorni immediatamente precedenti l’inizio del dibattimento e per tutta la durata dello stesso, fu presidiata in modo eccezionale dalle Forze dell’Ordine.
Gli Olivadesi poi parteciparono in massa (31): Olivadi stava subendo un’ingiustizia e quanti presero parte a questa vicenda percepirono prioritaria questa dimensione (indipendentemente dal grado di coinvolgimento – giuridico o emotivo – di ognuno o dalla gravità delle conseguenze sopportate).
Fu comunque un processo molto seguito, da tutti. Vediamo come andarono le cose.
Espletate le formalità di rito, il primo imputato interrogato fu il Brigadiere Pompeo Mosacrati. Nella sua deposizione ricostruì le vicende che precedettero i tumulti e attribuì la responsabilità di questi ultimi all’assessore De Septis ed al discorso tenuto la mattina del 21 giugno. Egli asserì che i Carabinieri si trovarono coinvolti nei disordini e che la situazione degenerò, nonostante il suo intervento teso a calmare gli animi. Sostenne di non aver assistito alla sparatoria: colpito da un sasso alla testa, cadde svenuto e quando si riebbe tutto era già accaduto.
Furono poi sentiti gli altri Carabinieri. Tutti e quattro confermarono la versione fornita dal loro comandante, aggiungendo (dal momento che, secondo la ricostruzione fatta dal Monsacrati, furono loro a prendere la decisione di sparare) di aver fatto fuoco per legittima difesa. Dichiararono infatti di aver temuto per la loro vita quando si videro bersagliati dal lancio dei sassi e intesero dei colpi di rivoltella provenire dalla folla. Misero infine in evidenza il fatto di aver agito in stato di estrema necessità (32).
All’interrogatorio dei militari seguirono poi le dichiarazioni degli altri imputati e le deposizioni delle parti lese.
Dalla narrazione degli undici Olivadesi emerge complessivamente un quadro antitetico a quello delineato dai Carabinieri (dato abbastanza ovvio, considerate le rispettive posizioni). Più in dettaglio: la maggior parte degli accusati (Monteleone, Napoli, Comito, Schipano, Paparazzo, Corigliano, Gallo) negò di aver preso parte alla rivolta ed in ogni caso di avervi avuto ruolo attivo.
Ci sembra interessante fermare l’attenzione su due posizioni: quella del Singlitico e quella del Muratori.
Secondo la nostra ricostruzione il Singlitico fu il responsabile del ferimento del Brigadiere. Al processo piange e sostiene che le accuse nei suoi confronti sono il frutto di dichiarazioni fornite da avversari politici della sua famiglia. Intanto è l’unico imputato che piange (rimorso ?) e poi sembra poco fondata l’argomentazione con cui egli intende spiegare le ragioni dell’accusa a suo carico (non va dimenticato che si trattava di un ragazzo (33) e la sua affermazione circa presunti contrasti politici non trova riscontro né nei pochi documenti disponibili, né nelle testimonianze orali).
Il Muratori nega anch’egli di aver lanciato dei sassi contro i Carabinieri e, a conforto della sua tesi, chiede l’intervento del Brigadiere Monsacrati. Quest’ultimo conferma l’estraneità del Muratori e aggiunge di averlo fatto arrestare su indicazione del Sindaco. “Ed il Muratori, grato di ciò, aggiunge: -
Si passò ad ascoltare le deposizioni delle parti lese. Il tono delle dichiarazioni cambia. Chi parla non è imputato (a differenza dei primi due gruppi di interrogati): le “parti lese” sono quei poveri disgraziati che hanno perso chi il marito, chi un figlio o una figlia, chi una gamba …
E’ comprensibile quindi una maggiore drammaticità di questa fase.
Il processo, a questo punto, fu interrotto per qualche giorno, a causa della malattia di due giurati. Alla sua ripresa, l’ ”Avanti !” (del 16.10.1909) pubblicò il resoconto completo dell’udienza dell’11 ottobre “per la grande importanza che assume questo processo in genere e per l’importanza particolare dell’udienza stessa”.
Il dibattimento fu aperto dalla lettura fatta dal Presidente, Cav. Nicola Fresa, della dichiarazione di due parti lese, assenti al processo perché malate.
Vi fu successivamente un intervento dell’avvocato di parte civile, Rocco Salomone (35) che, rivolgendosi al Brigadiere Monsacrati, cercò di chiarire se i carabinieri avessero sparato in direzione del luogo da cui provennero i sassi lanciati dalla folla, anche dopo che la stessa si era dispersa. La risposta del militare fu affermativa. Con questa risposta, Monsacrati confessa due cose: che non era affatto svenuto quando i Carabinieri spararono sulla folla; che questi ultimi avevano sparato -
Furono poi ascoltati vari testimoni a carico, tra cui il Sindaco Raimondo Corapi, alcuni Consiglieri Comunali, quel Vito Puntieri presso la cui bottega i Carabinieri, la mattina del 21 giugno, si intrattennero e fecero colazione (circostanza che il testimone confermò).
Dalle varie deposizioni emerse globalmente una smentita netta della versione fornita dai Carabinieri.
Qualche parola in più sulla deposizione del Sindaco. Il Corapi fornì una versione in cui parlò di un partito contrario che avrebbe aizzato una parte dei manifestanti, dell’intenzione di incendiare il Municipio e del tentativo, suo e dei Carabinieri, di respingere la folla. Confermò inoltre che i militari fecero fuoco in seguito al lancio dei sassi. Intervenne poi l’avvocato Spasari (36), difensore dei borghesi, e chiese al testimone chi fosse a capo del servizio di pubblica sicurezza. Il Corapi rispose di avere avuto, in qualità di Sindaco, il comando del servizio, ma negò di essere stato lui a dare l’ordine di aprire il fuoco (circostanza immediatamente confermata dal Brigadiere Monsacrati). Già nelle pagine precedenti si erano avanzati dubbi sull’effettivo ruolo del Sindaco quella mattina. La deposizione resa e lo svolgimento successivo del dibattimento non consentono di scioglierli. Sorprende che il Sindaco parli di un partito contrario e del tentativo di incendiare il Municipio (elementi per i quali non abbiamo trovato riscontro in altri documenti, né nelle testimonianze) e aggiunga, subito dopo, di un pranzo da svolgersi quella domenica in casa del De Septis, a cui doveva prendere parte anche il Brigadiere (precisando ulteriormente di aver lui stesso regalato un coniglio all’ospite).
Chi erano i sobillatori? E, se il De Septis era tra questi, perché organizzare un pranzo assieme? E come mai non è stato incriminato di nulla, né ascoltato come testimone?
Come si può notare, i dubbi restano.
Riportiamo, di seguito, un brano tratto dal resoconto che l’ ”Avanti!” pubblicò il 16.10.1909. Lo riteniamo utile a far comprendere quale fosse il clima in cui si svolse il dibattimento (l’autore dell’articolo è il corrispondente E. P. Gasparro).
“Nell’udienza d’oggi – oltre le solite frasi frizzanti che spesso si scambiano gli avvocati – si è verificato un incidente che, se alla generalità dell’uditorio è passato inosservato, pure è di una certa importanza. Mentre il teste Francesco Paparo dichiarava che vide lanciare due o tre sassi, il giurato Nello Pera, capo ufficio alle nostre poste e telegrafi, alzatosi di scatto faceva notare al teste con parola vibrata che i sassi furono una vera pioggia.
Il modo di esprimersi del Pera ha fatto insorgere il Presidente, il quale gli fece notare che non è quello il modo di trattare i testimoni: ma che soltanto possono rivolgersi delle domande.
Come si vede il fatto è ben grave, perché il giurato, con il suo agire, ha già manifestato la sua convinzione, ed ha reso palese il suo giudizio.
Di fronte a tanti abusi ed a tanta illegalità che si commettono da tutti, apertamente, per sprigionare gli assassini del popolo, crediamo che non sia giusto far rimanere il giurato Pera al suo posto, tanto più che la cittadinanza tutta è fermamente convinta che si vuole ad ogni costo l’assoluzione dei carabinieri. E la ragione di questa convinzione si ha nel guardare il giurì, composto quasi tutto da impiegati dello Stato e di tenenti e graduati in ritiro.
Si provveda, quindi, e subito, col rinviare il processo stesso ad altra sede di Assise, se non si vuole ancora una volta dare esempio al nostro popolo della perpetrazione di una ingiustizia inaudita!”
Il processo continuò con l’audizione di molti altri testimoni (ovviamente olivadesi o presenti ad Olivadi il giorno dei fatti). Da tutte le deposizioni risultarono, accanto a particolari di carattere soggettivo (quindi trascurabili ai fini della ricostruzione degli eventi), elementi che confermarono la responsabilità e la colpevolezza dei Carabinieri.
Una osservazione: mentre lo sviluppo del dibattimento e le testimonianze rese nel corso dello stesso, vedevano l’aggravarsi della posizione dei militari, per contro si ha la sensazione netta che si proseguisse per un “atto dovuto”, ma che il verdetto finale fosse stato già emesso (ed in una direzione contraria a quanto andava emergendo dal dibattimento). L’articolo (apparso sull’ ”Avanti!” il 17.10.1909) che dà conto delle deposizioni dei testi a carico (da cui risultano ulteriori conferme sulla colpevolezza dei Carabinieri), reca questo titolo, che colpisce pienamente nel segno: “IL PROCESSO DI OLIVADI CONTRO I CARABINIERI OMICIDI”, “SI PREVEDE L‘ASSOLUZIONE”…
Ne riportiamo un brano.
“(…) Diremo melanconicamente che fra breve cominceranno le arringhe e presto si avrà il verdetto: verdetto di assoluzione che pesa sulla coscienza di chi non ha saputo evitarlo, rinviando a tempo la causa. E ben lo si poteva per mille ragioni che vi si riscontravano! Vero è che il cav. Fresa, presidente dell’Assise, ha saputo tutto il retroscena che si è praticato, ma di ciò non a lui facciamo torto: che scrive, preoccupandosi solamente del buon andamento della giustizia, ebbe a dichiarare palesemente che per l’ambiente malsano di Monteleone tutto era lecito si facesse e che tutto bisognava fare per il rinvio del processo ad altra Assise più onesta e giusta: ne ebbe in risposta che solamente bisognava pensare all’assoluzione degli imputati di resistenza all’arma e non alla condanna dei fucilatori. Perciò è bene si sappia che non il Presidente è responsabile dell’ingiustizia monteleonese, ma anche tutti gli altri che prendon parte in questo processo.
Si mena vanto dell’assoluzione dei carabinieri e si specifica che contro la votazione contraria di tre giurati bene starà quella favorevole di 9. Sarà vero? Può darsi! Le pressioni furono molte, e molti onesti giurati, quale il notaio Petronio Francesco ed il dott. Sassi Nicola, nauseati per le incessanti pressioni di persone interessate a fuorviare il retto funzionamento della giustizia e per il loro retroscena politico paesano preferirono farsi esentare”.
Di seguito al brano, in un trafiletto, si dà notizia di una telefonata del corrispondente Gasparro che comunicava il ritiro, da parte del P.M., dell’accusa contro i Carabinieri e la conseguente richiesta di assoluzione.
Il giorno dopo, presente al processo anche l’On. Ciccotti (37), il P.M. diede conto ai giurati delle motivazioni che lo avevano indotto a sposare la tesi della “legittima difesa” e chiedere il ritiro della accusa. Si proseguì con le arringhe degli avvocati della difesa, i cui interventi mirarono a mettere in risalto la circostanza che i Carabinieri furono costretti ad agire per legittima difesa. Nella sua perorazione l’avvocato difensore Cafasi accusò “i socialisti di una propaganda che avvelenava le masse e la folla”. Fu interrotto dall’On. Ciccotti che gli rimproverò l’inesattezza delle sue affermazioni. Il Presidente non poté non rilevale la fondatezza delle osservazioni dell’On. Ciccotti ed obbligò l’oratore ad attenersi ai fatti del processo.
Ancora dall’ ”Avanti!” :
“(…) Dopo l’arringa dell’avv. Cafasi, prese la parola l’avv. Nicola Gioia della parte civile, e tenne attento l’uditorio ed i giurati per tre ore. A base delle risultanze del processo scritto ed orale luminosamente provò la colpa dei carabinieri nel delitto di Olivadi, e fu oltremodo caustico nel descrivere il temperamento impulsivo e l’animo non buono del brigadiere Monsacrati. Con parola vibrante di commozione mostrò ai giurati il popolo di Olivadi buono e tranquillo, e non la folla violenta e minacciosa prospettata dai difensori avversari.
Parlò franco quando criticò l’opera nefasta dell’autorità governativa che nulla seppe e saprà fare a favore dei danneggiati. E chiuse invitando i giurati a fare giustizia senza servire la politica” (38).
L’ultimo giorno di udienza si aprì con la richiesta formulata dall’On. Ciccotti di rinviare la causa per legittima suspicione. L’istanza fu però respinta dal Presidente ed il dibattito andò verso la conclusione. L’On. Ciccotti, in segno di protesta, abbandonò l’aula. Seguirono gli interventi conclusivi degli avvocati Ciampà e Spasari che chiesero l’assoluzione dei borghesi detenuti ed infine la richiesta di proscioglimento dei Carabinieri, da parte dell’avvocato Jemma.
Dopo una breve sospensione per la deliberazione, fu emesso per tutti un verdetto di assoluzione (39).