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21 giugno 1908, domenica.
Giorno in cui ebbe luogo una manifestazione di protesta (che, nelle intenzioni di chi la organizzò, avrebbe dovuto essere pacifica) . Differita, rispetto alle richieste formulate dal De Septis nella seduta consiliare del 21.5.1908, per consentire ad una delegazione (15) del Consiglio Comunale di far visita al Prefetto (secondo quanto già riferito nel paragrafo precedente). Modificati anche luogo ed ora: non più in piazza Regina Elena alle otto del mattino, ma sul sagrato della Chiesa, all’inizio della attuale via Vittorio Emanuele III, intorno alle 10.00. Come stabilito, erano stati invitati i Carabinieri di San Vito Jonio, i militi di stanza nelle zone terremotate, rappresentanti della Prefettura. Il testo del discorso che il De Septis avrebbe tenuto era già stato reso noto al Sindaco ed ai Carabinieri e pubblicato sulla rivista “Il Potere” (16).
Il clima, compatibilmente con la situazione generale, era tranquillo. Di ciò è prova anche il comportamento tenuto quella mattina dai Carabinieri: già presenti in paese fin dalle 8.00, fecero colazione presso la bottega del Signor Vito Puntieri; in più: il brigadiere Monsacrati avrebbe dovuto essere, per pranzo, ospite del De Septis (17).
All’uscita della Messa il De Septis tenne un discorso vibrante ma sereno. Vi assistette (come è facile immaginare, date le circostanze) buona parte della popolazione. L’oratore iniziò con un omaggio alla Casa Regnante ed alle Istituzioni liberali, sottolineò il mancato rispetto da parte del Governo delle promesse fatte, evidenziò il fatto che Olivadi, comune fra i più danneggiati dal sisma, fu anche tra quelli maggiormente trascurati.
Il comizio, i cui passaggi non potevano non suscitare la sentita approvazione della popolazione, si concluse (e senza alcun bisogno di intervento delle Forze dell’Ordine (18) ) con l’esortazione a continuare la protesta in modo più fermo ed organizzato, anche da parte dell’Amministrazione (sappiamo già che il De Septis era per le dimissioni dell’intero Consiglio Comunale). Gli animi (benché non fosse intenzione dell’oratore istigare alla rivolta) si accesero, in un misto di rabbia ed eccitazione: né va trascurato il carattere di novità che tale situazione assumeva (non avendo gli Olivadesi grande consuetudine con le manifestazioni pubbliche di protesta). Qualcuno tra la folla esortò il popolo a recarsi al Municipio per prendere lo Stendardo del Comune, onde conferire maggior solennità alla dimostrazione. La moltitudine (300/400 persone), per la maggior parte composta da donne e ragazzi (era di domenica, dopo la Messa), mosse verso la piazza. Il Sindaco ed i Carabinieri, temendo un assalto al Comune, si preoccuparono, e, risolti ad impedire che la folla giungesse al Municipio (la cui sede era in piazza, nella casa che fa angolo tra la piazza stessa e via Risorgimento), tentarono di aggirare i manifestanti imboccando vie traverse (via Umberto I o, più probabilmente, il vicolo che costeggiando la Chiesa passa sotto il campanile e sbocca in via Toselli). Si creò disordine: la folla scomposta si diresse verso la piazza, Sindaco e Carabinieri più qualche altro esponente dell’Amministrazione si affrettarono per bloccarla. Nei pressi della Chiesetta del Crocifisso i due gruppi vennero a contatto: vi furono spintoni, urla, la gente si sparpagliò. Il giovane Salvatore Gallo ricevette da un carabiniere un colpo in faccia col calcio del fucile e ne ebbe rotti due denti; cominciò a protestare ed urlare inducendo Arcangelo De Septis ad intervenire per calmarlo. Il De Septis trasse via il Gallo dal tumulto per evitare che aizzasse ulteriormente la folla e si allontanò con lui dalla piazza. La confusione aumentò. In quei frangenti concitati dal tetto di una casa (di proprietà della Signora Angela Singlitico, ubicata in via Marconi ed il cui retro dava proprio su via Toselli, a circa venti metri dalla Chiesetta), Attilio Singlitico, in compagnia di Ercolino De Septis (due ragazzi), scagliò una tegola sul manipolo dei Carabinieri colpendo il brigadiere, che cadde ferito al capo (19). Angela Comito (soprannominata “mamma randa”), donna del popolo che abitava nei pressi dell’accaduto, accorse e fasciò con un panno la testa del militare. Il Sindaco, impaurito per le conseguenze che potevano derivare (un assalto al Comune e l’effetto negativo dei disordini sui delegati prefettizi presenti in paese), chiese al brigadiere di aprire il fuoco per disperdere i dimostranti. Il Monsacrati, accecato dall’ira, non se lo fece ripetere due volte ed ordinò ai suoi uomini di sparare sulla folla. L’ordine, secondo quanto riferito dai testimoni Carmelo Signorelli e Raffaele Molea (20), fu dato con impeto e cattiveria inusitati. Dalla folla volarono dei sassi verso i Carabinieri, che a loro volta nel breve volgere di pochi minuti spararono sui dimostranti circa 60 colpi d’arma da fuoco (fucile e mitraglia).
E’ fu strage: quattro i morti ed altrettanti i feriti. Morirono: Anna Gallo, Giuseppe Aiello, Rocco Colabraro e Giuseppe Cozzella. Furono feriti: Paola Garieri, Maria Varano, Domenico Fusto, Adelina Frustaglia, oltre al già citato Salvatore Gallo.
Le vittime:
Anna Gallo, di anni 24, giovane sposa incinta di cinque mesi. Fu colpita a bruciapelo (come si evinse dalle ustioni riscontrate dal Dottor De Luca intorno alla ferita) alla fronte e cadde senza vita sotto un pioppo nei pressi dell’attuale palco (era sorella di Salvatore Gallo);
Giuseppe Aiello, di anni 18, muratore, di Centrache. Colpito al ventre da una pallottola mentre, di ritorno dalla casa del suo datore di lavoro Francesco Candelieri (presso cui si era recato per riscuotere la paga settimanale), era accorso in aiuto di Paola Garieri, ferita poco prima;
Rocco Colabraro, di anni 74, contadino. Colpito davanti la porta di casa ad una gamba da una scarica di mitraglia, morì poche ore dopo per dissanguamento;
Giuseppe Cozzella, di anni 65, contadino. Fu gravemente ferito nei pressi della sua abitazione e morì l’otto luglio dello stesso anno a causa delle ferite riportate (21).
I feriti:
Paola Garieri, di anni 14, colpita ad una gamba da una raffica di mitraglia, ebbe in seguito l’arto amputato (22);
Ai colpi di arma da fuoco seguì un fuggi fuggi generale, i dimostranti si dispersero. Quando la sparatoria cessò, gli Olivadesi si trovarono dinanzi uno scenario drammatico: le vittime a terra, resti delle macerie del terremoto ancora lì (a ricordare in modo beffardo il disastro di tre anni prima); un’atmosfera irreale, rotta solo dal lamento dei feriti.
Da alcune testimonianze orali (23) è risultato che quel giorno la gente in piazza era particolarmente numerosa oltre che a causa della manifestazione (circostanza che da sola basta già a giustificare una massiccia presenza di persone), anche per la concomitanza di un matrimonio.
Un tale di Amalfi, proprietario di un piccolo emporio ubicato in piazza (lo stesso locale che per tanti anni è stato il bar “Mazzotta”), proprio quel giorno si sposò. Il matrimonio fu celebrato a Centrache e, dopo la cerimonia, “l’Amalfitano” (così è chiamato dai testimoni) fece ritorno ad Olivadi con la moglie. Quando scoppiò il tumulto e si udirono i primi spari, molte persone accorsero in piazza pensando che fossero giunti gli sposi. Si trovarono invece coinvolti nei disordini.
Una curiosità: la Signora Maria Grazia Fusto ha riferito che, bambina di tre anni, quel giorno era stata in Chiesa con la madre. All’uscita della Messa le due donne incontrarono il parente Domenico Fusto (uno dei feriti, come abbiamo visto), che chiese alla cugina di affidargli la piccola poiché, avendo intenzione di andare ai festeggiamenti per il matrimonio dell’ “Amalfitano”, desiderava portare con sé la bambina. Fortunatamente la donna negò la figlia al cugino, dal momento che di lì a pochi minuti quest’ultimo sarebbe stato colpito.
Tornando alla descrizione dell’ “eccidio” (è questo il termine che ricorre più frequentemente nel racconto dei testimoni; meno spesso si parla di rivolta): è assai verosimile che nella sommossa siano intervenuti in un secondo momento anche altri militari (quelli di stanza nelle zone terremotate) per sedare la stessa e riportare l’ordine. I testimoni riferiscono che l’ordine del “cessate il fuoco” fu dato a seguito dell’intervento del Sindaco. Il Signor Raimondo Corapi, vedendo una tale carneficina (e lasciamo impregiudicata la sua eventuale responsabilità nello scoppio della rivolta), si tolse il mantello e, rivolgendosi ai Carabinieri che sparavano, si offrì in sacrificio purché si smettesse di sparare sulla folla.
Difficile stabilire quale fu il ruolo del Sindaco sia per ciò che riguarda l’inizio del tumulto, sia per ciò che concerne la sua cessazione. Le testimonianze sono concordi nell’asserire che il Corapi era un personaggio piuttosto strano, lunatico, capace di slanci umanitari (24), ma a volte anche duro e vendicativo. Quello che appare certo è che il Corapi ed il De Septis, almeno a far data da qualche mese prima dei fatti di giugno, non fossero in perfetta sintonia riguardo alla linea da seguire nei rapporti con gli organi superiori. De Septis aveva assunto in seno al Consiglio Comunale una posizione polemica nei confronti delle Autorità, cosa che forse lo mise in contrasto col Sindaco, più “filo-
A tumulto sedato (oltre al danno, la beffa …) alcuni Olivadesi furono tratti in arresto dai Carabinieri con l’accusa di istigazione alla rivolta. Altri riuscirono a sottrarsi alla cattura dandosi alla macchia.
Quanto accadde la mattina del 21 giugno dopo il comizio del De Septis fu cosa assai grave e determinò non poco imbarazzo: per le conseguenze (troppo pesanti, date le premesse e la situazione), per il ruolo dei protagonisti e la gravità di certi loro comportamenti e, più a monte, per le responsabilità indirette del Governo nell’aver contribuito a creare situazioni ambientali obiettivamente assai delicate.
Proponiamo, in conclusione, tre articoli pubblicati nei giorni immediatamente successivi ai fatti da due dei più diffusi giornali calabresi dell’epoca: “Vita Calabrese” ed “Il Potere”. Essi gettano luce ulteriore sul clima e sulle posizioni che si determinarono ed anche sulla risonanza che il triste episodio ebbe ben oltre gli ambiti entro cui accadde .
1) IMPRESSIONI E COMMENTI (“Vita Calabrese”. Anno II, n. 24 supplemento. Catanzaro, 25 giugno 1908);
2) I FATTI DI OLIVADI (“Il Potere”. Anno XXIV, n. 25. Catanzaro, 27 giugno 1908);
3) DI CHI LA COLPA? (“Vita calabrese” Anno II, n. 25. Catanzaro, 3 luglio 1908).
Dei mesi immediatamente successivi restano da segnalare due fatti che ci sembrano significativi. Una interrogazione inviata al Presidente della Camera dall’On. Natale Staglianò (25) in cui si chiedono chiarimenti circa i luttuosi fatti di Olivadi; una nuova, violenta scossa di terremoto il 28 dicembre 1908 (26) che non mancò di produrre altri danni e, soprattutto, ulteriore scoramento negli Olivadesi. Si ricordi che, eccetto i primi interventi d’urgenza messi in atto dal Genio Civile nei mesi immediatamente successivi al terremoto del 1905, Olivadi era un paese semi-